Stai scoprendo Il Festival
GIORGIO PRESSBURGER
Nel 2023, momento in cui viene presentato al pubblico l’archivio Mittelbabel, sono passati 5 anni dalla scomparsa di Giorgio Pressburger (Budapest, 1937 – Trieste, 2017).
Di Mittelfest, all’inizio degli anni ’90, Pressburger è stato tra i fondatori e in tutto quel decennio, insieme a Carlo de Incontrera, Cesare Tomasetig, Mimma Gallina, ne ha improntato le scelte.
Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta
Aveva cominciato giovane, Giorgio Pressburger, a sfuggire all’ordinario. E anche all’ordine, inteso come gabbia. Fuggito nel ’56 dalla sua Budapest invasa, era arrivato in Italia come oggi arriva un migrante. Solo un cappotto. E nel panorama di quell’Italia, già pronta per la televisione e il boom, aveva scelto le strade per niente facili della ricerca, della sperimentazione, del nuovo in campo artistico. L’immigrato con il cappotto era diventato regista in Rai e con i suoi progetti aveva conquistato quattro Prix Italia, ciò che oggi rappresenterebbe l’eccellenza nell’innovazione culturale italiana.
Era la stessa Rai in cui lavoravano Carlo Emilio Gadda e Umberto Eco: la Rai delle buone pratiche. Pressburger amava lavorare con chi stava creando la musica inquieta di quelli anni, l’ingegneristico sound dell’elettronica di allora. Con Bruno Maderna (Ages, nel 1972) e Luciano Berio (Diario immaginario, 1975) si dedicava a costruire miraggi sonori dentro lo stregonesco Studio di Fonologia Musicale. Fiore all’occhiello di una Rai, ancora colta e ancora popolare, con una missione in testa: migliorare l’Italia e gli italiani.
Lavorando con loro, scrivendo sceneggiature e progetti, aveva definito subito la sua immagine d’intellettuale d’avanguardia, alchimista di idee che avrebbe presto trasferito dalla radio, al teatro, alla televisione, all’insegnamento all’Accademia nazionale “Silvio d’Amico”.
A Trieste, la città prescelta dopo Roma, aveva trovato nel Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia lo spazio per dare corpo e suono a certe intuizioni di scena, curiose e ambiziose. Si può dimenticare l’aeroplano che aveva voluto in scena per rievocare il caustico cabarettista Karl Valentin? I tonfi degli zoccoli sul pavimento di vera maiolica con cui aveva ricoperto il palcoscenico per La brocca rotta di Kleist? Il ritratto d’amore e di palcoscenico che aveva fatto a Alexander Moissi, fantasma glorioso e trascurato genio della scena mitteleuropea. Un filo speciale lo legava a Pier Paolo Pasolini, del quale aveva tradotto, in immagini teatrali e televisive il difficile Calderón con la sontuosa citazione della pittura di Velasquez.
Giorgio Pressburger fotografato nel centro di Trieste, in piazza Carlo Goldoni
Gli anni Novanta
Disincantato da quella Trieste, di cui vedeva la mancanza di coraggio, aveva intuito che Cividale del Friuli, cittadina al margine nord-orientale d’Italia, e ambiziosa anch’essa, poteva essere il luogo ideale per la sua persistente idea di nuova Mitteleuropa, Paese di cui si sentiva cittadino ideale.
Forte della propria matrice umana e culturale ebraica, Pressburger pensava che si potesse rigenerare un tessuto di uomini, di donne, di culture e di lingue che aveva tenuto assieme l’Europa centrale cento anni prima. Un tessuto che due conflitti, guerre fredde, guerre non guerreggiate, avevano lacerato e distrutto. La sua era l’idea di nuova Mitteleuropa delle culture, che contrastasse la nascente Europa fondata su economie. Era il 1990, l’anno delle speranze. E a trasformare quel sogno in qualcosa di concreto c’era lui, poliglotta e cosmopolita, pronto a fondare un festival che si sarebbe chiamato Mittelfest.
A Cividale del Friuli, lavorando con De Incontrera, Gallina, Tomasetig, aveva per quasi 15 anni tenuto il timone della manifestazione da considerare adesso il più prezioso titolo della sua carriera di regista.
Territorio dove cimentarsi con un teatro che invadeva la città (spettacoli itineranti come Praga Magica da Ripellino, oppure Danubio e Microcosmi, i due libri di Claudio Magris) o con la ricerca di un’identità sua e al tempo stesso comune a tanti, che gli aveva fatto nascere sulla carta i copioni di Le tre madri e di Il rabbino di Venezia. O ancora con coinvolgenti progetti, nei quali sfidava le regole stesse della drammaturgia: L’ora in cui non sapevamo niente l’uno dell’altro, da Peter Handke, oppure La grande migrazione di Hans Magnus Enzensberger.
Giorgio Pressburger fotografato a Cividale, sul Belvedere che domina il fiume Natisone
Dopo Mittelfest
Sarà la Storia però a dargli torto. Dopo aver aperto speranze sopranazionali (Mittelfest era riuscito a riunire anche 20 lingue in una sola edizione), piccole patrie e nazioni egoiste si sarebbero riconvertite alla costruzione di muri, steccati, fili spinati da mettere sui confini. Non erano nemmeno passati vent’anni. A questa deriva Pressburger non si era arreso.
Lui, con la forza dei suoi settanta e poi ottant’anni, si era rimboccato le maniche. Era stato direttore dell’Istituto di Cultura italiana a Budapest, regista al Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, docente al Dams dell’Università di Udine e in altri atenei. E con maggior lena aveva ripreso a scrivere. Fin dalle Storie dell’ottavo distretto (del 1986, scritto assieme al gemello Nicola, per ricordare la Budapest ebraica della sua infanzia) l’attività di scrittore e giornalista aveva infatti accompagnato quella del regista.
Negli ultimi anni aveva intensificato la scrittura per racchiudere in altre opere, altri libri, altri articoli per i giornali, le sue speranze. Manoscritti in bottiglia per la generazione a venire. Come Messaggio per il secolo, il film di Mauro Caputo che lo vede raccontare la propria storia. Come Sulla fede e Don Ponzio Capodoglio (il suo ultimo libro, per Marsilio). O il manoscritto a cui stava ultimamente lavorando, messaggio e testamento, attraversato però da una sovrana ironia. Quell’ironia, spiegava Freud, che a gente come il mitteleuropeo Pressburger, si addice.
Roberto Canziani
[questo ritratto di Giorgio Pressburger è stato pubblicato il giorno successivo alla sua scomparsa, il 5 ottobre 2017, sul blog di culture teatrali QuanteScene! quel che succede nei teatri, a cura da Roberto Canziani]